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Tempio di San Sebastiano in Mantova

La doppia anima del Rinascimento, con il corpo ancora nell’inerzia del medioevo, ma con la testa che guarda all’indietro, agli antichi, è qui tanto evidente da presentarsi quasi in un sincretismo tra la religione etrusca e quella cristiana.

Il tempio consacrato a San Sebastiano, protettore delle pestilenze, nasce su commissione di Ludovico Gonzaga Marchese di Mantova e dal progetto dell’architetto Leon Battista Alberti. Sorge come ex voto contro la pestilenza in una zona paludosa ai margini del perimetro della città rinascimentale di Mantova, dove risiedeva in epoca etrusca la barinula, sacerdotessa e guaritrice di nome Mantu, che diede il nome alla città.
Quello che osserviamo oggi è il risultato di numerosi rimaneggiamenti che ne hanno frainteso e alterato l’originale (e pressoché sconosciuto) progetto.

Il cantiere, partito tardivamente, venne affidato a Luca Fancelli e si riportano errori già nelle prime fasi. Errori che portarono l’Alberti a dover modificare il disegno originale. Anche di queste modifiche non ne resta traccia documentata. La scalinata loggiata laterale potrebbe risalire a questo periodo e troverebbe un precedente ‘all’antica’ nel Tempietto al Clitunno.

Tempietto presso il Clitunno

Il cantiere viene in seguito affidato a Pellegrino Ardizzoni da Porto e ceduto ai Canonici regolari di San Sebastiano che si affrettano a completarne la parte superiore in economia. Il timpano interrotto in facciata, probabilmente ispirato all’arco d’Orange, sembra una introduzione non originale in quanto le lesene nella parte centrale della facciata risultano posticce, in materiale non lapideo e quindi diverso da quelle laterali e vanno a coprire parzialmente le cornici del portale, che risultano invece libere nelle corrispettive della facciata interna (si veda ‘L’oscuro linguaggio del Tempio di S. Sebastiano in Mantova’ di Gianni Baldini, Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz 33. Bd., H. 2/3 (1989), pp. 155-204).

Negli anni ’20 un restauro alquanto arbitrario da parte di Schiavi ha portato al rifacimento delle volte e delle aperture e alla realizzazione delle due scalinate d’accesso in facciata. E’ stato inoltre demolito l’edificio sul lato destro della facciata.

Nell’idea originale i bracci della pianta centrale erano sormontati da volte a botte mentre al centro era prevista una cupola.

Nonostante questi pesanti interventi resta tuttavia leggibile l’intenzione dell’Alberti di ispirarsi al modello di tempio tuscanico o etrusco. Le tre porte rettangolari in facciata conducono alle tre celle dedicate ad Uni, Tinia e Menerva, ma disposte attorno ad una pianta centrale che rivisita il simbolo cristiano della croce greca, generando un sincretismo presente nell’architettura invisibile che genera la peculiare forma di questo edificio.

Ricostruzione di Tempio etrusco

Il portale in facciata è orientato a Nord-Ovest, ad individuare le divinità della triade etrusca (Si veda “DEORUM SEDES”: SULL’ORIENTAMENTO DEI TEMPLI ETRUSCO-ITALICI di Friedhelm Prayon Archeologia Classica Vol. 43, TOMO SECONDO: MISCELLANEA ETRUSCA E ITALICA IN ONORE DI MASSIMO PALLOTTINO (1991), pp. 1285-1295, L’Erma di Bretschneider).

La lettura radiestesica dell’edificio individua la caratteristica compresenza nell’asse centrale di falda acquifera e faglia. Quest’ultima con un’area d’influenza eccentrica verso il lato sinistro, in corrispondenza dell’accesso della scala laterale (la cui presenza potrebbe essere casuale o consapevolmente individuata). In asse ai bracci laterali corre una falda acquifera che si incontra con la gemella al centro della struttura.

Mentre nella Chiesa inferiore leggiamo un’emanazione di 20.000 Å, nella superiore questi scendono a 18.000 Å (probabilmente a causa delle alterazioni operate nei recenti restauri).

L’acme energetico dell’edificio s’incontra in corrispondenza dell’altare, caratterizzato da un baldacchino all’antica, composto da colonne e trabeazione, senza copertura. Sul piano dell’altare è visibile una decorazione geometrica in crusta marmorea raffigurante due quadrati concentrici, uno bianco ed uno nero, di 48cm di lato, pari ad un cubito vitruviano (3/2 del piede) e unità di misura dell’edificio. Questa raffigurazione individua la chiave geometrica compositiva di tutta la struttura, costituita dal rapporto proporzionale 1 : 3 : 5 (molto vicino al numero aureo).

In questo esatto punto, contrassegnato, è misurabile un valore di 40.000 Å.

Modulo di un cubito vitruviano (48cm) in crusta marmorea sull’altare e schema compositivo del Tempio.

Alcune considerazioni – Ci troviamo davanti a qualcosa di nuovo: una diversa corrente del cristianesimo sinora incontrato nelle nostra analisi di edifici del periodo romanico e gotico. Nell’usurpazione cristiana dei luoghi di culto pagani, i punti di massima espressione del tellurismo sono stati occultati, dissimulati o manomessi. Nella concezione albertiana il luogo di culto si ispira non solo formalmente ai templi degli antichi ma anche nel rapporto diretto con le energie sacre.
Questo diverso approccio non deve essere passato inosservato nemmeno ai contemporanei dell’Alberti: il Cardinale Francesco Gonzaga, figlio del Marchese, apostrofò sprezzantemente “…per essere fatto quello edificio sul garbo antiquo, … io per ancho non intendeva se l’havea reussire in chiesa, o moschea, o synagoga…“.

Ravvediamo inoltre una profonda consapevolezza della ‘materia’ in gioco da parte di Leon Battista Alberti nelle sue parole, tratte dal De Re Edificatoria, libro VII, “Il proporzionamento non è imposto all’edificio, a priori, ma scaturisce da esso, e nasce addirittura dall’elemento o funzione più importante … nella chiesa l’inizio del proporzionamento parte dall’interno o, meglio, dalla larghezza della navata”.

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