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Belfiore

Una città è un processo che si esprime nel suo farsi dinamico attraverso i secoli. Il piano di una città esige interpreti e trascrittori, i quali possono in ogni momento tradire la concezione originaria, sminuirne la tensione, ostacolarne lo sviluppo. Si potrebbe dire che ad un urbanista occorra, tra molte altre qualità, anche una buona dose di fortuna, poiché la sua ispirazione deve essere compresa, condivisa e concretata dai posteri per varie generazioni. Ma la fortuna dipende anzitutto dalla forza dell’intenzione artistica iniziale: dalla resistenza cioè che il piano oppone, per la sua intrinseca coerenza, a chi vuole insidiarlo e, insieme, dal suo grado di ricettività nei confronti dei contributi edilizi che lo integrano nel tempo. Ferrara è, in tal senso un unicum.
Il piano di Biagio Rossetti ne configurò il volto e la struttura per secoli.

Bruno Zevi – Saper vedere la città.

La Città di Ferrara è il prodotto dalla mente di un uomo capace di un perfetto equilibrio tra la tendenza al razionalismo astratto e l’empirismo banale. Pur rifiutando le teorie del Filarete, celebrate dalla cultura del periodo e assai gradite ai Signori, e risolvendo organicamente l’unione della città antica al nuovo, Rossetti infonde profondo spirito classico alla sua opera.
Il sapore “albertiano” di commistione fra sapere della tradizione medievale e il modo di operare all’antica permeano il progetto dell’Addizione erculea. In particolare il disegno urbano esprime chiaramente l’attenzione per la tradizione della romanità classica.
Il riferimento alla castramentationem è evidente dall’allestimento del nuovo cardo e decumano. Non a caso il cardine cittadino, scostandosi dalla canonica ortogonalità, individua la stessa direzione di quello del castro romano nel nucleo antico, in una ri-fondazione della città guardando agli stessi astri della precedente.

L’eidogenesi del castro è fortemente collegata alla misura, al controllo razionale, alla possibilità di orientarsi con sicurezza in un mondo pressoché privo di visione dall’alto.

Dal quadrivio del Palazzo dei Diamanti, nuovo centro geometrico cittadino, si dipartono gli assi principali che trovano soluzione di continuità nelle porte presso le mura: equidistanti dall’origine. La metà esatta di questa distanza, individua con precisione architetture di Rossetti; a nord-est, lungo una retta immaginaria che collega alla Punta della Montagnola, la chiesa di San Cristoforo alla Certosa, a est quella di San Benedetto mentre, a sud, il castello estense contende la polarità del Palazzo dei Diamanti. Da questo, alla metà del raggio che inscrive la città, si incontrano porta Paola e la chiesa di San Francesco.
E’ inoltre individuabile la costruzione di un “quadrato astrologico”, tema di natalità ad opera di Pellegrino Prisciani (consigliere a corte di Ercole I d’Este), a disegnare l’andamento della cinta muraria a nord. Questa configurazione vedrebbe il centro della nuova città come acme del tema astrologico.

Nella consuetudine fondativa dei nuovi insediamenti romani (castrum) l’haruspex eviscerava un animale locale (hostiae) controllandone lo stato di salute degli organi emuntori. Segni epatici potevano indicare la presenza di erbe velenose cui prestare attenzione, presenze calcaree nei reni indicavano acque pesanti da filtrare, e così via. All’alba del giorno di fondazione il Lituus veniva posta al centro del futuro insediamento: traguardando la stella polare, nord celeste attorno al quale ruota il firmamento (cardo mundi) veniva individuato l’esatto azimut in cui sorgeva il sole, conferendo allo spazio terreno il favore degli astri.

Misure esatte dimensionano il piano urbano e ordinano lo spazio rendendolo a misura d’uomo.

Il centro, incrocio dei due assi principali, è l’origine di una precisa teoria ordinatrice del mondo; teoria cara alla romanità classica, abituata a prendere possesso del territorio mediante un sistema di centuriazione; catalogazione dei terreni agricoli che ha come riferimento cardo e decumano cittadini. Il quadrato diventa espressione della dimensione terrena ‘nunc stans‘, della tridimensionalità spaziale, contrapposta al “nunc fluens” della volta celeste. Forma quadrata, simbolica, che trae origine dal lavoro e dalla dimensione della fatica umana e animale: lo juger (bifolco, bifolca, biolca) indica la superficie arabile dal contadino impiegando due buoi “aggiogati” in una giornata.
Rossetti, dovendo rendere commensurabile il suo piano e agevole alle abituali esperienze spaziali dei ferraresi, sceglie, come unità di misura fondamentale, la Biolca.

Il terreno agricolo ferrarese condivide la medesima consistenza di quello romano e, quindi, la stessa distanza percorribile da una coppia di buoi aggiogati sotto l’impeto di una sferzata del fattore (actus, tornatura). La tradizione medievale, non estranea ai rapporti dimensionali modulari, fornisce così la matrice per misurare l’intero piano dell’Addizione. Qui sta la grandezza di Rossetti nell’armonizzare le conoscenze ‘medievali’ alla maniera ‘all’antica’. L’unità fondamentale e tutti i sottomoduli collegati sono riscontrabili nello sviluppo della città fino ai giorni nostri. Lo stesso Palazzo dei Diamanti occupa una superficie pari a un modulo, individuando una variazione dell’asse stradale proprio in accordo con le dimensioni dell’impianto urbano. Sette moduli individuano esattamente i monumenti sopra citati, mentre il raddoppio inscrive la città intera. Contando dieci unità, sul cardo massimo, incontriamo la Porta degli Angeli.

Questa densa trama concettuale struttura la forza del progetto “rossettiano” e ne costituisce l’ossatura geometrica che ospita infinite raffinatezze concettuali e magistrali soluzioni architettoniche.

Qualunque progetto architettonico non può che osservare e ispirarsi a questa chiarezza, traendo linfa vitale dalle peculiarità di questa forma urbana, unica nel panorama delle città europee.

Rapporti dimensionali tra i moduli.

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